Correre ad ogni costo: l’ultima gara della Caterham

Dall’amministrazione controllata all’addio ad Abu Dhabi. La fine di un team bizzarro ma, a suo modo, geniale

Nel luglio del 2014, Tony Fernandes annunciò di aver venduto il suo team di F1, la Caterham a un gruppo di investitori svizzeri e mediorientali, rappresentati da Colin Kolles. ex team principal, tra le altre, di Jordan, Force India e HRT.

La scelta di Fernandes, in fin dei conti non deve stupire: in cinque anni di attività il suo team, nonostante un budget rispettabile, non era riuscito ad ottenere nemmeno un punto, con un paio di undicesimi posti come migliori risultati ottenuti.

Tra i primi provvedimenti presi da Kolles ci fu la nomina dell’ex pilota Christjan Albers e del manager italiano Manfredi Ravetto come nuovi team principals della scuderia inglese.
Il duo, trovandosi di fronte a una situazione debitoria piuttosto preoccupante, si trovò costretto a licenziare un numero consistente di dipendenti del team, in un tentativo disperato di spending review, così da risparmiare ed evitare la bancarotta e il fallimento.

Nonostante tutti gli sforzi profusi sia in pista, che in fabbrica a Leafield, i risultati del team non migliorarono.
Probabilmente, l’aver prodotto la vettura più lenta e brutta del lotto, la CT05, non contribuì di certo in positivo alla causa della Caterham, nonostante i costanti sforzi del team di portare aggiornamenti nel vano tentativo di migliorare una monoposto nata male e sviluppata anche peggio.

Colin Kolles e Christjan Albers

Nell’ottobre 2014, immediatamente dopo il GP di Russia, il team entrò in amministrazione controllata e  venne affidato a al curatore fallimentare Finbarr O’Connor, ritrovandosi costretto a saltare le gare di Austin e Interlagos.
Sembrava che l’avventura della piccola scuderia inglese nel circus fosse giunta al capolinea; tutti i cronisti stavano già somministrando l’estrema unzione alla Caterham, convinti che le due vetture verdi non si sarebbero più riviste in pista.

Ma si sbagliavano, perché gli uomini e le donne rimasti nella fabbrica di Leafield avevano altri piani in testa.
Fu così, che tra lo stupore generale, Finnbarr O’Connor, convocata una conferenza stampa, comunicò ai presenti che la Caterham aveva tutta l’intenzione di partecipare all’ultima gara dell’anno: il GP di Abu Dhabi.

Sì, ma come? Lo sapevano tutti, addetti ai lavori e semplici fans, che le casse del team inglese erano vuote. Come potevano anche solo pensare di correre a Yas Marina senza avere un budget a disposizione?

Beh, forse saranno stati senza un soldo in tasca e alla canna del gas, ma di certo in quel di Leafield non difettavano di immaginazione neppure nella loro ora più buia, e fu così che ai membri del team venne in mente una meravigliosa e folle idea: per finanziare la loro impresa avrebbero fatto ricorso al crowdfunding.

Ora, per chi non lo sapesse, il crowdfunding è una raccolta di fondi, per lo più tramite Internet, attraverso piccoli contributi di soggetti privati che condividono un medesimo interesse o un progetto comune oppure intendono sostenere un’idea innovativa, visionaria o folle come il far disputare un GP a un team a un passo dal fallimento.

O’Connor, amministartore fallimentare della Caterham

L’obiettivo da raggiungere era trovare i quasi 2 milioni e mezzo di sterline necessarie per correre negli Emirati. Nessuno nella storia della Formula 1 aveva mai pensato di ricorrere a tale soluzione per finanziare il proprio team. Senza alcun dubbio si trattava di una mossa rischiosa, un salto nel vuoto, ma considerando la situazione disperata in cui versava la Caterham, era un tentativo da fare; in fondo, provare non sarebbe costato nulla. Il problema principale è che si trattava di una vera e propria corsa contro il tempo: visto e considerato che il team aveva meno di un mese per tirare su la somma necessaria.

Tifosi e simpatizzanti di tutto il mondo, sentita la richiesta d’aiuto proveniente da Leafield, decisero di aiutare la squadra, donando qualsiasi cifra fosse nelle loro disponibilità. E, incredibilmente, alla chiusura della campagna, tutti appresero che la Caterham era riuscita nel proprio intento di ottenere la somma necessaria per tornare a correre.

Proprio come una fenice che risorge dalle proprie ceneri, la Caterham non solo riprendeva vita, ma si apprestava, dopo mesi, a tornare sulla griglia di partenza di un GP.

Il team arrivò a Yas Marina con uno staff ridotto all’osso, ma con le monoposto ricoperte da un centinaio di stickers riportanti i nomi di tutti i piccoli sponsor e delle persone che avevano donato rendendo possibile l’impresa.

I prescelti per portare in pista le due vetture verdi nel capitolo conclusivo del mondiale 2014 erano il giapponese Kamui Kobayashi, il quale pur avendo corso praticamente gratuitamente per tutta la stagione, decise di onorare fino alla fine il suo contratto, e il britannico Will Stevens, il quale faceva parte della drivers’ academy del team e che era stato stato scelto per sostituire Marcus Ericsson, il quale era fuggito con i propri sponsor in direzione della Sauber il giorno dopo della messa in amministrazione controllata.

Ora, se ci trovassimo in un film, questo sarebbe il momento in cui, una volta iniziato il week-end di gara, incredibilmente il team povero, sfavorito e francamente un po’ sfigato si ritrova a lottare con i primi della classe. Purtroppo, questo non è un film della Disney, ma è il mondo spietato della Formula 1, e le due Caterham, essendo state pietose per tutta la stagione, rimasero coerenti fino alla fine e chiusero in fondo alla lista dei tempi sia le prove libere che le qualifiche, seppur non lontanissime dai propri diretti concorrenti.

Ma la domenica, allo scattare del GP e nei primi giri, successe qualcosa di inaspettato: le Caterham, come per magia, trovarono una improvvisa e inaspettata competitività e nelle fasi iniziali, sia Stevens che Kobayashi si ritrovarono a lottare a centro gruppo, e cosa più importante, ad armi pari con le Lotus e le Sauber.

Se già il solo partecipare a quella gara era stato salutato dai membri del team come un successo eccezionale, il vedere le proprie letture lottare con le altre deve aver riempito di orgoglio tutti quanti avevano lavorato su quelle monoposto per tutto il 2014.

Will Stevens su Caterham-Renault CT05, GP Abu Dhabi 2014

Dopo una ventina di giri, Kobayashi si ritrovò costretto al ritiro a causa del cedimento di una sospensione, ma il vero “spettacolo”, per la gioia degli uomini in verde, lo stava regalando il debuttante Stevens, il quale si ritrovava al quattordicesimo posto e stava dando del filo da torcere a piloti esperti come Sutil e Grosjean.

Non contento il rookie britannico, intento come era a lottare per difendere la propria posizione, non si era accorto del sopraggiungere di Fernando Alonso, e inavvertitamente lo rallentò in fase di doppiaggio, scatenando l’ira funesta e le lamentele via radio (e te pareva…) dell’asturiano. Anche se, obiettivamente, dall’onboard di Fernando si ha l’impressione che la colpa sia da imputare più alla pochezza della sua Ferrari F14-T , incapace di superare celermente una Caterham, che all’inesperienza del povero Will.

Comunque sia, col trascorrere dei giri, la Caterham superstite venne a poco a poco risucchiata verso il fondo del gruppo e alla fine Stevens tagliò il traguardo in diciassettesima e ultima posizione.

Ciononostante, il morale nel box Caterham era alto. Nonostante tutte le difficoltà incontrate e le avversità che avevano dovuto fronteggiare a causa di scelte manageriali infelici e discutibili, il team era sopravvissuto ed era persino riuscito a comportarsi in maniera dignitosa una volta tornato in pista.

Sfortunatamente, l’ottimismo portato dalla trasferta di Abu Dhabi, ebbe breve durata. Nonostante tutti gli sforzi profusi, Finnbarr O’Connor non riuscì a salvare il team dal fallimento e, a fine 2014 la Caterham chiuse definitivamente i battenti, anche se, personalmente, ritengo sia uscita di scena a testa altissima.

Bartolomeo Cianciolo

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